La voce by Anaïs Nin

La voce by Anaïs Nin

autore:Anaïs Nin [Nin, Anaïs]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bompiani
pubblicato: 2014-01-16T23:00:00+00:00


Una Stella fragile, sdraiata sul suo letto di raso avorio, tra gli specchi.

Il suo corpo eloquente può esprimere tutti i sentimenti nel linguaggio della danza. Le sue mani adesso riposavano stanche sulle ginocchia, stanche e sconfitte.

La sua danza è perpetuamente interrotta dalle ferite d’amore. Con la sua vestaglia bianca non sembra una seduttrice, ma un’orfana.

Con la sua vestaglia bianca si affretta fuori dalla sua stanza per scendere di sotto a risparmiare un’ulteriore fatica alla servitù, lei che è esausta.

Il suo corpo e il suo viso così animati che non sembrano fatti di carne, ma come antenne, di alito e nervi.

Delicata, si stende come una bambina stanca, ma tanto saggia.

Luminosa, parla come sente, sempre.

Irreale – la sua voce svanisce in un sussurro, come se lei stessa fosse sul punto di svanire e si dovesse trattenere il respiro per udirla.

Orientale, assume le pose delle danzatrici balinesi. La testa sempre libera dal corpo come la testa dell’uccello così libera dal suo fragile stelo.

Il linguaggio delle sue mani. Mentre si curvano, scattano, si cingono, trepidano, si ha sempre il timore che finiranno unite in una preghiera che nessuno le faccia del male.

Non c’era parte in grado di contenere la sua intensità.

Emanava un tale splendore nella recitazione che era insopportabile. Un’esaltazione troppo grande per la parte, che si infrangeva come un vascello troppo piccolo. Un calore troppo grande. La parte ne risultava sminuita, distorta e perduta. Quando implorò delle parti che potessero contenere questa intensità, le furono negate.

Fuori scena continuava la stessa arricciatura capricciosa del nasino, gli stessi occhi rapiti, la disinvoltura e la grazia e l’impulsività di una bimba (nel ristorante più pomposo della città aveva allungato una mano verso un vassoio d’argento che passava portato da un pomposo cameriere per rubare una patatina fritta).

L’intensità faceva sembrare inadeguati e insignificanti gli avvenimenti che lei interpretava. C’era un bagliore da una fonte di sentimento così profonda che soffocava i personaggi mediocri della galleria hollywoodiana.

Mangiava come una bambina, avidamente, come se temesse che glielo portassero via, che i genitori glielo proibissero. Come una bambina, non aveva civetteria. Non si curava dei capelli arruffati e le piaceva la sua faccia priva di trucco. Se qualcuno faceva l’amore con lei mentre portava ancora il peso del trucco sulle ciglia, se qualcuno faceva l’amore con le sue ciglia esagerate artificialmente, si offendeva, come per un tradimento.

Era una bambina che portava un’anima molto vecchia e ne era appesantita, e desiderava depositarla in un qualche ruolo grande e appassionato. In Giovanna d’Arco, o Marie Bashkirtseff... o Rejane, o Eleonora Duse.

C’è gente che si traveste, come il padre di Stella che si camuffava e impersonava quello che non era. Ma Stella voleva soltanto trasformarsi e arricchirsi e voleva interpretare soltanto quello che sentiva di essere, o poteva essere. E Hollywood non glielo permise. Hollywood aveva i suoi formati di personaggi, e certi formati standard limitati non si potevano superare.



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